Le mere riproduzioni delle conversazioni intercorse tra privati con servizio di messaggistica istantanea (WhatsApp o iMessage) non valgono come prova nel processo tributario.

Il possibile utilizzo nel processo tributario delle c.d. chat di messaggistica istantanea (WhatsApp o iMessage) è una tematica che assume oggi rilevanza stante l’ormai diffusa consuetudine tra privati di utilizzare tali strumenti anche nelle comunicazioni che intercorrono nell’esercizio delle attività economiche.
Sulla valenza probatoria nel processo tributario dei messaggi scambiati tramite servizi di instant messaging si è, peraltro, espressa recentemente la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia con la sentenza n. 105/2021, depositata lo scorso 14 aprile 2021 (reperibile al seguente link).
La vicenda su cui i giudici emiliani si sono pronunciati è scaturita dall’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente, in cui venivano assunti come elementi di prova della pretesa tributaria alcuni messaggi inviati e ricevuti dal privato.
In particolare, analizzando il contenuto di alcuni iMessage (ossia messaggi di testo trasmessi per il tramite del servizio di messaggistica istantanea gratuito sviluppato dalla Apple), allegati ad un prodromico P.V.C. della Guardia di Finanza, l’Agenzia fiscale era giunta alla conclusione che il contribuente fosse l’amministratore di fatto (ma non di diritto) di una società di capitali dichiarata fallita. Tali messaggi, scambiati dal contribuente con gli uffici amministrativi della società fallita e con alcuni clienti dell’impresa, concernenti le modalità di consegna di forniture ed i metodi di pagamento delle stesse, avevano quindi indotto l’Agenzia fiscale a presumere che l’uomo fosse, in realtà, l’amministratore di fatto della società, ritenendolo conseguentemente solidalmente obbligato, unitamente al soggetto societario, al pagamento delle sanzioni tributarie da questi dovute.
Il contribuente, impugnando l’avviso di accertamento, riteneva illegittimo l’utilizzo della messaggistica acquisita dalla Guardia di Finanza e, poi, utilizzata dall’Agenzia delle Entrate ai fini accertativi, sostenendo che detti messaggi fossero privi di qualunque attestazione di conformità all’originale e non avessero, pertanto, alcuna efficacia probatoria. Veniva, inoltre, evidenziato dal ricorrente come nei servizi di instant messaging l’archiviazione delle conversazioni avviene solo sul dispositivo utilizzato (ossia lo smartphone), differentemente dai comuni sms che vengono memorizzati anche nei sistemi informativi delle compagnie telefoniche. Di conseguenza, ad avviso del contribuente, i messaggi della prima tipologia avrebbero potuto acquisire efficacia probatoria in sede processuale solo in presenza di un’estrazione di essi dal dispositivo elettronico controllata e certificata da un notaio o da altro pubblico ufficiale.
Chiamata a pronunciarsi sul ricorso del contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, con la sentenza in commento, ha accolto il motivo concernente l’inadeguatezza probatoria delle mere riproduzioni dei messaggi allegate agli atti dall’Agenzia fiscale a causa della non verificata conformità agli originali, ritenendo applicabile al caso concreto un principio già sancito dalla Corte di Cassazione seppur in sede penale.
Difatti, secondo la Suprema Corte “è legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta l’istanza di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via ‘whatsapp’ e registrate da uno degli interlocutori, in quanto, pur concretandosi essa nella memorizzazione di un fatto storico, costituente prova documentale, ex art. 234 cod. proc. pen., la sua utilizzabilità è, tuttavia, condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, al fine di verificare l’affidabilità, la provenienza e l’attendibilità del contenuto di dette conversazioni” (cfr. Cass. pen., Sez. 5, 19 giugno 2017, n. 49016).
Sulla base di tale orientamento di legittimità, i giudici tributari emiliani hanno, quindi, sancito l’inutilizzabilità nel processo tributario dei messaggi scambiati attraverso sistemi di messaggistica istantanea “in carenza di una loro verificata e dimostrata genuinità”.
La sentenza in commento, che ha affrontato tra l’altro anche il tema della responsabilità solidale tra società fallita ed amministratore circa l’obbligo di pagamento delle sanzioni tributarie, appare condivisibile nel punto in cui ha escluso l’efficacia probatoria dei messaggi istantanei in assenza di apposita attestazione di conformità; ciò ancorché non sia dato di sapere se, nel caso di specie, i messaggi allegati agli atti come prova dall’Agenzia delle Entrate fossero mere trascrizioni ovvero riproduzioni fotografiche dei testi inviati (c.d. screenshot).
Difatti, proprio perché i testi trasmessi con sistemi di messaggistica istantanea (Whatsapp, iMessage, etc.) vengono archiviati esclusivamente sul dispositivo telefonico dell’utilizzatore senza lasciare traccia negli archivi del gestore telefonico (circostanza che invece si verifica per gli sms), affinché le relative conversazioni possano assumere adeguata valenza istruttoria nel processo tributario, è necessario che il contenuto dei messaggi venga certificato da un pubblico ufficiale, attestante che quanto prodotto in giudizio sia realmente stato estratto dal cellulare di uno degli interlocutori e che il testo non abbia subito modifiche successive. In assenza di tale attestazione di conformità, non essendo garantita la relativa autenticità, i messaggi di testo trasmessi con sistemi istantanei e depositati nel processo tributario mediante semplice trascrizione ovvero riproduzione fotografica (c.d. screenshot) dovranno ritenersi inadeguati ai fini probatori.
Sul punto, va poi richiamato un altro orientamento della Corte di Cassazione penale che, in più recenti pronunciamenti, pare invece aver attenuato ai fini probatori la richiamata pretesa di rigorismo formale delle allegazioni in questione. Difatti, è stato affermato che “i messaggi whatsApp così come gli sms conservati nella memoria di un apparecchio cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. (…), con l’ulteriore conseguenza che detti testi devono ritenersi legittimamente acquisiti e utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli acquirenti” (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 1822. In senso conforme, anche Cass. pen., Sez. V, 6 maggio 2021, n. 17552; Cass. pen., Sez. V, 20 ottobre 2020, n. 839; Cass. pen., Sez. V, 16 gennaio 2018, n. 1822).
Resta, quindi, da chiedersi se in futuro altri giudici tributari decidano o meno di seguire il più recente orientamento della Suprema Corte nell’ambito del processo penale, riconoscendo efficacia probatoria anche alla semplice allegazione di mere riproduzioni fotografiche dei messaggi di testo.
A tale quesito, sembra ragionevole fornire risposta negativa atteso che il riscontrato revirement della Suprema Corte potrebbe giustificarsi in ragione delle diverse tipologie di prove acquisibili nel processo penale. Difatti, mentre in sede penale le parti processuali possono allegare prove testimoniali, assai utili a confermare il contenuto e la provenienza dei messaggi di testo riprodotti in copia fotografica, le stesse non sono ammissibili nel processo tributario, sicché il rigore formale recentemente imposto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia con la sentenza in commento si presume debba continuare ad essere preteso anche in futuro. Ciò vale, ovviamente, per entrambe le parti in contesa e, quindi, sia nei confronti dell’Agenzia fiscale, con riferimento alle prove di evasione del contribuente, sia nei confronti del privato con riferimento alla prova contraria da questi opponibile alla pretesa tributaria.
Ne consegue che laddove le parti del processo tributario intendessero utilmente allegare al fascicolo di causa il contenuto della messaggistica istantanea, le stesse dovrebbero depositare le trascrizioni delle conversazioni elettroniche elaborate da un consulente tecnico ovvero le loro riproduzioni fotografiche unitamente ad una attestazione di conformità all’originale rilasciata da un notaio o da un altro pubblico ufficiale.

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